

Our age is insistently, at times almost desperately, in pursuit of a concept of world order. Chaos threatens side by side with almost unprecedented interdependence. New methods of accessing and communicating information unite regions as never before and project events globally, but in a manner which inhibits reflection…
Henty Kissinger, World Order, 2014
Attualmente, e fino al 8 Gennaio 2023, la mostra Civilization è stata scelta per riempire gli ampi spazi dei Musei San Domenico di Forlì.
Una mostra corale, circa trecento immagini di oltre 130 fotografi provenienti da tutto il mondo. I temi sono quelli del presente e del futuro del mondo contemporaneo.
Civilization parla a tutti: questa è l’impressione.
Come capita di rado, la mostra non vuole essere difficile, ma attuale, vera. Attraverso gli occhi dei suoi curatori (e del suo primo ideatore: William A. Ewing, che l’ha proposta alla Foundation for the Exhibition of Photography), il nostro vivere quotidiano si dispiega, si dipana, attraverso reticolati cittadini e domestici, intrecci di folle e masse, il palpabile caos delle — ormai troppo grandi — città del mondo, e ci restituisce la civiltà come in uno specchio.
La mostra si estende lungo i due piani dell’edificio. Due sono anche i livelli di narrazione che si percepiscono, passando da un piano all’altro.
La prima parte colpisce per il modo tanto esasperato quanto familiare con cui racconta la quotidianità della vita contemporanea. Attraverso l’obiettivo fotografico che, di volta in volta, ingrandisce il singolo o si apre al massimo per cogliere la massa, l’immagine stampata restituisce il senso di colmo, di schiacciamento, di fretta e frenesia delle nostre giornate.
Il messaggio è forte e chiaro: consapevoli e colpevoli, ogni foto è in grado di parlarci delle nostre sveglie impostate alle 07:00 del mattino, del traffico sulle strade piene di vita; una panoramica sugli uffici alienanti in cui ci troviamo a lavorare ogni giorno e sulla sensazione d’asfissia che ci trasmettono i mezzi pubblici che prendiamo per tornare a casa.
E le case? Stanze piccole, troppo piccole, quartieri abbandonati a Detroit, città zombie, e poi, di nuovo, città straripanti, traboccanti di esseri umani. L’equilibrio crolla, così come l’equilibrio sociale, il quale diventa visibile e reale.




Le fotografie scelte non sembrano voler dare alcuna opinione netta, prender parti che possano risultare scomode; in fondo non ha senso farlo, questa civiltà è anche la nostra, con i suoi vizi e le sue virtù.
Lo spiega bene Thomas Struth, parlando della sua foto scelta:

La mia fotografia parla della nostra credenza a senso unico nel progresso attraverso le macchine: il crescente arrendersi a questo tipo di speranza.
Thomas Struth – Figure II, Charité, Berlin 2013
Cosa rimane, quindi, al termine del percorso?
Un senso di nuova consapevolezza, soprattutto, e di desolazione. È difficile rimanere estasiati dal progresso della civiltà umana di fronte alle fotografie (una prova sempre concreta e tangibile) che testimoniano ciò a cui ci siamo arresi: l’assenza di sentimenti.
Perché, in effetti, è impossibile non rendersene conto. Il mondo che ci appare agli occhi attraverso Civilization è freddo e, molto spesso, sterile.
E quindi non resta da chiedersi: chi l’ha reso così?

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