Perché siamo così innamorati di Luigi Ghirri?

A trent’anni dalla sua morte, le fotografie di Luigi Ghirri vengono ora celebrate nel recente documentario dal titolo “Infinito. L’universo di Luigi Ghirri”, che dallo scorso settembre sta girando per le sale di tutta Italia.

Facciamo un po’ di retroscena: innanzitutto, chi è Luigi Ghirri?

Parliamo di quel genere fotografico che viene chiamato: “Scuola di paesaggio Italiana”.

Luigi Ghirri, Paris, 1972 — © 2023 Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia, Heirs of Luigi Ghirri

In quegli anni, dove in Italia spesso l’utilizzo della fotografia aveva ancora un impianto politico– anche, e soprattutto, nel finire degli anni ‘70– le fotografie di Luighi Ghirri non esprimevano giudizio politico alcuno. 

Il suo approccio fotografico era particolare e faticava a restituire a colpo d’occhio il senso di ciò che si stava osservando. 

Arrigo Ghi, uno dei più celebri stampatori italiani, ad esempio, non riusciva a carpire un reale senso dalle fotografie che stampava. A sua moglie, Marilena Ghi, però, piacevano. C’era qualcosa in quei paesaggi che la convinceva ed emozionava. Ce lo raccontano bene in Infinito., dove le telecamere del documentario hanno offerto una panoramica del laboratorio modenese agli spettatori. 

In effetti, i percorsi di immaginazione e progettazione di Ghirri non erano basati sui grandi messaggi della vita e dell’umanità tutta, quanto più sul mondo delle piccole cose. Invece che far riflettere gli osservatori delle sue fotografie su qualcosa di specifico ed essenziale (alla maniera della fotografia di denuncia), oppure su uno spaccato di vita ben delineato (negli stessi anni, Letizia Battaglia metteva a nudo le immagini della mafia italiana, in Sicilia, disvelandola), nelle fotografie di Luigi Ghirri emerge il suo pensiero complesso e olistico; il suo modo di guardare al mondo dalle grandi alle piccole cose senza trascurare tutto quello che ci sta in mezzo, come lui stesso afferma: Lo spazio tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande era riempito dall’infinitamente complesso: l’uomo e la sua vita, la natura. Da qui nasce il mio lavoro.”

Scene quotidiane, paesaggi riconoscibili, definibili, la vita di tutti i giorni, i suppellettili con cui venivano riempite quelle che erano le case degli italiani dell’epoca. Stiamo parlando di una realtà tutta nuova da mettere in scena, comprendente quella parola che, fino a quel momento, non era mai stata degna d’esser immortalata: la periferia, l’incrocio che tutti i giorni si attraversava per andare a lavoro, quattro donne di spalle vestite comunemente, un luogo di ritrovo di giovani in cui il tempo si perde, si dissolve; il senso di pace di una spiaggia vuota, in cui l’orizzonte è perfettamente dritto e i colori sono tenui, come in un ricordo; un parco giochi, una piazzetta cittadina.

Nel 1984, le fotografie di “Viaggio in Italia” diventano il manifesto di quella Scuola di paesaggio italiana che abbiamo citato. È un progetto a suo modo enorme, perché contribuisce a ridefinire l’intera immagine ed immaginario italiano dell’epoca– permettendo poi alle generazioni a venire, come la nostra, di dare un senso ai racconti dei nostri familiari, di dar forma a parole prima alimentate solamente da ricordi sfumati.

Luigi Ghirri diventa il curatore di un progetto che vede coinvolti 20 fotografi italiani (tra cui anche nomi del calibro di Jodice, Basilico, Barbieri e molti altri) alle prese con il reale, onesto e spogliato dai fronzoli, paesaggio italiano.

Cosa c’è dietro le pubblicità, gli slogan, la politica, le notizie dell’ultima ora? 

Cosa c’è ogni giorno in Italia? Non solo nelle grandi città come Roma o Milano, ma nelle province silenziose, spesso dimenticate dalle prime pagine dei giornali, dove generazione dopo generazione crescono cittadini italiani aventi le proprie abitudini, il proprio scorrere delle giornate e un proprio spaccato di tempo netto, definitivo, sicuramente unico ma simile, perché simile è la giornata di chiunque. 

Olivo Barbieri, Follonica, 1983

Ecco, Luigi Ghirri ha creato un immaginario del paesaggio italiano (e, soprattutto, emiliano-romagnolo), che ancora oggi persiste negli occhi delle persone. Siamo spinti a ricercare e a vedere intorno a noi quegli elementi così caratteristici della sua poetica visiva: cornici, manifesti pubblicitari, aiuole che dividono simmetricamente lo spazio, edifici che con le proprie linee dividono e limitano geometricamente l’infinito. Le sue fotografie incidono tanto sulla visione ancora attuale del paesaggio italiano, anche perché accompagnano il cambiamento avvenuto tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento. Diventa così tra i primi e più significativi autori che descrivono ed interpretano questa nuova Italia.

La caratteristica del suo approccio fotografico consiste nell’analisi, nella riflessione, nell’indagine dei soggetti che rappresenta. Non si tratta di un approccio scorgi e scatta — cogliere il giusto momento alla Henri Cartier-Bresson —, ma di studiare gli elementi compositivi dell’inquadratura da un punto di vista estetico e di significato: rappresentare il territorio per raccontare la vita, la società, la complessità dell’abitare gli spazi.

Di tutto ciò, forse è complice la sua formazione originaria di geometra e l’attenzione che, come tale, riserva alla progettualità. 

Una scomposizione del paesaggio, la sua destrutturazione al fine di innescare una ricomposizione personale, l’associazione secondo un paesaggio privato: esterno ed interno si intersecano.

Luigi Ghirri è, sicuramente, uno dei più importanti fotografi italiani.

Il documentario “Infinito. L’universo di Luigi Ghirri”, ancora in proiezione presso sale selezionate e disponibile in streaming su Sky Arte, racconta soprattutto la sfera privata del fotografo, attraverso i suoi pensieri e le significative interviste a coloro che lo hanno conosciuto, a partire dai suoi familiari fino ai suoi collaboratori. 

Una ricostruzione della persona Luigi Ghirri attraverso il suo modo di fotografare, andando in profondità sulle questioni che lo muovevano a compiere questo atto: molto più di un lavoro o una passione, un’esigenza per analizzare la realtà che lo circonda, la complessità della vita, la forza della memoria.

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